LAURA CONTI. AMBIENTE, RISORSE E CACCIA

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di Giulio Sapori

A Laura Conti (31 marzo 1921 – 25 maggio 1993), figura di spicco dell’ecologismo italiano, è dedicato un piccolo libro intitolato Conti o la condizione sperimentale (Jaca Book, 2016), a cura di Laura Novati. Un libretto che fa parte dell’interessante collana I precursori della decrescita, diretta da Serge Latouche, in cui si presentano autori che in passato hanno trattato tematiche care alla cultura della decrescita (critica dello sviluppo, limiti delle risorse, critica del consumo, ecologia).

Capitalismo e ambientalismo
In che senso Laura Conti può considerarsi precursore della decrescita? Leggendo la presentazione della curatrice si riconoscono alcune tematiche assimilabili a quel sistema di idee: 1) coscienza dei limiti della biosfera; 2) critica dello sviluppo; 3) miglior utilizzo dell'energia.
La presa di coscienza dei limiti del pianeta fu, i lei, precoce e la contrappose spesso a molti dei suoi compagni di partito (PCI), legati ad una cultura sviluppista.
Importanti per la sua formazione, e per la nascita dell'ambientalismo scientifico, furono due libri usciti nel 1972: I limiti dello sviluppo, studio commissionato al MIT dal Club di Roma e Il cerchio da chiudere di Berry Commoner.
Questi testi portarono la Conti a 'correggere' Marx con Malthus, e Malthus con Marx: criticavano scientificamente l’ideologia della crescita, l’industrialismo e il consumismo. Malthus indicava i limiti delle risorse, Marx i limiti dell'accumulazione delle risorse collettive nelle mani di pochi.
Lotta anticapitalista e ambientalista così si 'completavano': combattere contro lo sfruttamento della natura significava anche combattere per l’egualitarismo, la redistribuzione, il lavoro (“stiamo perdendo le occasioni di lavoro proprio perché stiamo dissipando le risorse ambientali”).

Seveso e l'irresponsabilità del potere
Banco di prova dell’impegno politico, ambientale e scientifico della Conti fu il 'disastro di Seveso', verificatosi il 10 luglio 1976, quando una nube tossica contenente elevate quantità di diossina si diffuse nell’ambiente circostante (comune di Seveso in primis), a causa di un danno avvenuto negli impianti chimici della società elvetica ICMESA, appartenente al gruppo svizzero Givaudan-La Roche. Questo ‘incidente’ venne descritto e riportato dalla Conti in un saggio-documento, pubblicato nel 1977, col titolo Visto da Seveso.
In questo libro si accusa l’irresponsabilità della politica e del capitalismo industriale nei confronti delle persone e dell'ambiente. Al principio capitalistico e tecnocratico per cui decide sempre chi ha il capitale e la conoscenza tecnica, Conti contrappone il principio secondo cui “il calcolo costi-benefici lo deve fare chi paga i costi”, un principio che risulterà valido anche nella decisione riguardante il nucleare, per il referendum del 1987.

La caccia
La curatrice del volume dà poi ampio spazio alla presa di posizione filovenatoria della Conti, una scelta che la mise in disaccordo con molti ambientalisti che avevano proposto e appoggiato il referendum abrogativo sulla caccia del 1990. Questa sua posizione venne poi esposta in modo chiaro nel libro Discorso sulla caccia (Editori Riuniti, 1992) che Laura Novati considera “il suo saggio più importante dal punto di vista di una prospettiva ecologista” (p. 107).
Ora, proprio per l'importanza che viene data a questa posizione (che non condividiamo), vorremmo dire qualcosa a riguardo.
Iniziamo dalla definizione che viene data di caccia: “un razionale prelievo di risorse rinnovabili”, fonte di “proteine animali”. Iniziamo da qui perché l'uso di queste parole dice già molto: le entità in questione, per la Conti, non sono gli animali, soggetti di vita singolari, ma risorse che si 'rinnovano'.
In questo modo di parlare e trattare gli argomenti ecologici intravediamo gli evidenti limiti dell'ambientalismo scientifico, plasmato da un linguaggio e da una visione del mondo dualista, antropocentrica e 'industriale'. Quindi, non è molto vero dire che coloro che vanno contro la caccia abbiano una visione dualista, 'religiosa', del rapporto uomo-ambiente (natura 'innocente' vs. umanità 'colpevole'). Al contrario: è proprio perché non si accetta questa visione, in cui la natura è un oggetto-risorsa contrapposto ad un soggetto-gestore, che si può essere contrari alla pratica venatoria.
L'argomento più 'scientifico' della Conti riguarda la supposta sostenibilità della pratica venatoria. Certo, se è vero che l’allevamento e l’agricoltura industriale sono generalmente più impattanti, a livello ambientale, di un certo tipo di caccia, appoggiare quest'ultima non fa diminuire né l’impatto della prima né della seconda, ma si unisce alle due.
L'argomento più sconcertante, invece, è la concezione del cacciatore come soggetto ‘ribelle’, ‘anticapitalista’, che “contrasta proprio il nostro modo di produrre, che assoggetta il sistema vivente a criteri economici distruttivi, sogna il ritorno a un tempo nel quale questo moderno modo di produrre non era ancora stato introdotto” (p. 63). Vedere l’ammazzare animali selvatici, in più con un bel fucile prodotto dalla multinazionale Beretta, come gesto ‘antisistema’ mi sembra tra le cose più strampalate lette a riguardo.
Nonostante sia una pratica che si esegue da millenni, il significato della caccia è ampiamente mutato in seguito a cambiamenti sociali, economici e simbolici. Anche se il risultato è sempre la morte di un animale tramite arma, una cosa è se l'azione la compie un raccoglitore-cacciatore !Kung, un'altra se la compie l'ingegner Rossi che, se vuole, può inselvatichirsi senza ammazzare nessuno.
La Conti critica, addirittura, la possibilità di essere vegetariani, quando proprio pochi anni prima, nel 1987, l’American Dietetic Association si era dichiarata a favore delle diete vegetariane e vegane in tutte le età della vita.
La contrapposizione fondamentale riguarda il modo in cui vediamo gli animali (risorse o soggetti), e quindi ci vediamo. Da parte nostra, lasciare la possibilità di vivere anche agli altri animali, a quei pochi che ancora resistono all'avanzata della specie umana, non considerandoli mere risorse, sarebbe una vera novitas, anche per l'ambientalismo.

Conclusione
Laura Conti è stata un figura importante per la diffusione di una seria cultura ambientalista critica nei riguardi dell'impatto umano sul pianeta (inquinamento, consumo di suolo, sovrappopolamento, energia). E di questo le siamo grati. Allo stesso tempo, però, non possiamo non dissentire dalla sua visione ancora troppo meccanicista e antropocentrica, sorda alle singolarità viventi.


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