Leggo sempre volentieri le cose che scrive Massimo Fini, in particolare quelle riguardanti la critica al progresso e allo sviluppo. Non mi trovo sempre d’accordo con i contenuti ma ne riconosco l’importanza e apprezzo molto il suo stile chiaro e diretto. Ciò detto, qui vorrei concentrarmi su un punto che ritengo una mancanza fondamentale del suo pensiero e lo farò a partire da alcune cose che Fini ha detto in un piccolo intervento tenuto alla convention organizzata dal MoVimento 5 Stelle ad Ivrea qualche giorno fa.
L’idea cardine dell'intervento e, in generale, del suo pensiero - definito da molti antimoderno - è che la scienza, il denaro e la tecnologia, trinità caratteristica del mondo moderno, sono animate da una Grande Illusione collettiva: l'idea di futuro.
La modernità, cioè, è figlia di una filosofia della storia futurocentrica in cui il tempo è rappresentato come una freccia scagliata linearmente in avanti, luogo temporale in cui è collocato il senso del presente. Una concezione del tempo nata nel moderno, anche se ha le sue radici nella cultura giudaico-cristiana.
Il progresso è visto come una chimera a cui sacrifichiamo insensatamente le nostre vite: accelerazione senza pace verso qualcosa di non raggiungibile.
Analisi condivisibile. Discorsi da vecchio saggio, in una convention segnata, per lo più, da un ingenuo ottimismo tecnologico. Dov’è, dunque, il problema del discorso?
E' in un piccolo inciso, in cui viene fuori quella sorta di dogma centrale dell’ortodossia intellettuale: l'ideologia antropocentrica.
Veniamo al punto. Per indicare la stupidità di questa corsa insensata Fini fa l'esempio della corsa dei levrieri, non più presente (se ne dispiace) in Italia: "noi siamo come i levrieri - dice - tra le bestie più stupide della Terra". Il pubblico ridacchia. Visto che c’è, rincara la dose: "gli animalisti vadano all'inferno". L'animalismo, continua, non sarebbe altro che la "malattia infantile dell'ecologismo". Per finire con "...e le zanzare?". Chiusa parentesi.
Innanzitutto qualche risposta:
1) Le corse dei levrieri, rimpiante da Fini, sono una pratica aberrante di dominio su un animale ridotto a macchina da corsa usa-e-getta per il sollazzo di qualche scommettitore. Ogni anno, in questa industria, ventimila levrieri perdono la vita, molti perché troppo lenti. L'impiccagione è una delle pratiche per disfarsene.
2) Parlare di stupidità e intelligenza, in generale, è tanto diffuso quanto idiota. Per fare ciò, citando Nietzsche – autore che Fini dovrebbe conoscere visto che gli ha dedicato un libro – occorrerebbe avere un metro del valore super partes che non c’è. L'intelligenza, piuttosto, è capacità plurima atta in primo luogo alla risoluzione del problema fondamentale dei viventi: riuscire a mantenersi in vita.
In questo caso, correre dietro ad una preda - anche se finta - è una risposta intelligente poiché potrebbe salvare la vita dell’animale. Diversamente, scommettere denaro è effettivamente da imbecilli.
3) Gli animalisti non c’è bisogno di mandarli all’inferno perché sono consapevoli che questo mondo è già un inferno - un luogo di concentramento e patimento 'aggiunto' - per un numero enorme di animali, umani e non. Una cosa che ha scritto, tra l'altro, anche quel pessimista di Schopenhauer (altro autore che Fini dovrebbe apprezzare).
4) L'animalismo - nella sua dimensione più genuina – è un arricchimento del pensiero ecologico, considerando l'esistenza dei singoli individui, e non solo delle specie. Un ritorno alla realtà e al presente, insomma.
5) "E le zanzare?" Quante volte è tirato in ballo come segno di incoerenza dai conformisti dell'indifferenza? Troppe volte, quindi vorrei solo delucidare il fatto che: primo, se un animale ci attacca o ci può ledere possiamo difenderci (come fanno tutti gli animali); secondo, le zanzare non sono solo quelle fastidiose che ci pungono - a cui le riduciamo - ma ve ne sono molte e molto diverse: le specie note sono circa 3.200, di cui 70 sono quelle identificate in Italia. Tra queste ultime solo 10 sono in grado di pungere l'uomo. E, come si sa, solo le femmine lo fanno, i maschi invece si nutrono di liquidi zuccherini che trovano nelle corolle dei fiori, trasportando il polline di fiore in fiore proprio come le api.
Quello che volevo però indicare, al di là di rispondere a queste provocazioni, è il conformismo di molti “anticonformisti” quanto si tratta di antropocentrismo, ideologia che porta a ritenere l’umano quale misura di tutte le cose, per dirla con Protagora.
Fini non è, in genere, ingenuo: sa, per esempio, che quando diciamo “diritti umani” in realtà stiamo parlando dei diritti dell'uomo occidentale, cioè di una costruzione etnocentrica che si pretende universale. Ma non riesce a capire che ciò che chiamiamo 'uomo' e 'animale' è anch'essa una costruzione culturale, non un dato universale. Il dispositivo che rende possibile questo è definito da Giorgio Agamben "macchinario antropogenico".
Nel suo discorse antimoderno la contrapposizione centrale è tra la civiltà moderna e le altre civiltà, come quella greca, medioevale e talebana, mettendo in mostra “scontri di civiltà”, con visioni del mondo e del tempo differenti. Mai, però, si sofferma sullo scontro – ben più radicale – tra civiltà e natura (interna ed esterna all’uomo) presente in ogni civiltà.
E così fraintende l’animalismo e, molto più grave, l’animalità, nostra e altrui. E non vede il punto essenziale che distingue la corsa dei levrieri da quella umana al progresso: il fatto che i levrieri - nonostante l'ambiente artificiale - corrano dietro qualcosa che vedono come una preda, mentre noi corriamo dietro un'idea che ci siamo costruiti.
In sintesi, la mia critica agli antimodernisti 'ribelli' è che l'idea di tradizione - greca, medioevale o talebana - guardando al passato, non è tanto diversa dall'idea di progresso che guarda al futuro: entrambe distolgono gli occhi dal presente e dai presenti.
Ecco l'animalismo è, in sostanza, questo: un tentativo di ritornare alle cose stesse. Ritornare a vivere il presente insieme ai presenti, umani e non.
Fini conclude l'intervento dicendo che il futuro è dietro di noi, non davanti. Io direi che non può che essere qui, nel presente, come possibilità di vivere e organizzare diversamente il proprio tempo, mantenendo una distanza 'animale' dall'ipertrofismo tecnologico, dal culto del progresso e dell'illimitato. In pratica, se si vuole essere genuinamente antimoderni, non si può non essere animalisti.
Per il video dell'intervento, QUI
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