NOI ABBIAMO UN SOGNO. RECENSIONE AL LIBRO DI ANNAMARIA MANZONI

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di Giulio Sapori

Il sogno del titolo non è  qualcosa di irreale o fantastico, ma è il sogno come possibilità, visione di un non-ancora-reale. Un'apertura al futuro, un futuro in cui, parafrasando il profeta Isaia, l'animale umano potrà dimorare insieme all'animale non-umano.
Contro il neopanglossismo, attualmente molto diffuso, che vede quello attuale come il migliore dei mondi possibili, l'autrice richiama al 'non-ancora' come disposizione che ci permette di indignarci di fronte al presente e di dire, riprendendo Saramago, "questo mondo non va bene, ne venga un altro".

L'apertura del futuro è, innanzitutto, un'apertura di sguardo. E' vedere che la violenza sugli animali, per spettacolo, cibo, vestiario, scienza, è un modo determinato nel tempo e nello spazio di rapportarci agli animali non-umani, e quindi superabile.

La domanda che si fa l'autrice, a questo punto, è: quali sono i meccanismi psicologici difensivi che permettono di mantenere gli occhi chiusi? Ve ne sono diversi, ma tutti volti ad un fine: impedire l'incontro tra sensibilità e realtà, desensibilizzando il reale ("siamo animali: uccidiamo come loro", "ci sono problemi più gravi", ecc.) e derealizzando la sensibilità ("gli animali non soffrono", "sono solo animali", "sei troppo sensibile. E' sempre stato così", ecc.).

Riaprire gli occhi ci permetterà di intravedere un nuovo mondo, molto più complesso di quello catturato dallo sguardo medusiaco del Dominio, sguardo univoco che blocca ogni possibilità di relazione feconda tra le parti, nella reificazione totale dell'altro. Aprire gli occhi significa, allora, aprirsi alla vita come comunicazione, legame, con l'altro. Innanzitutto, a partire da quell'alterità animale che noi stessi siamo.

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