Nato dalla trascrizione di un dialogo avvenuto presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Biodiversi è un testo breve ed immediato ma nient’affatto superficiale.
I
due autori riflettono su una serie di tematiche la cui urgenza, oggi colta
ancora da pochi, andrà imponendosi nell’immediato futuro.
Se
dovessimo individuare un fil
rouge
di
tutta la conversazione, lo troveremmo forse nell’idea del recupero di
un’etica di cura e custodia della natura contro quell’atteggiamento di
bramosia produttivistica e di guadagno che caratterizza l’odierno paradigma di
produzione. Quest’idea fondamentale anima la critica di Mancuso all’ambiente
scientifico, dove la natura è ancora vista come un oggetto distaccato,
“altro” e neutrale rispetto allo scienziato-padrone, ed anima anche la denuncia
di Petrini per l’applicazione del libero scambio alle derrate alimentari
vincolate, in questo modo, da un giogo che permette ai prodotti ottenuti su
scala industriale “che arrivano da fuori a un prezzo più basso, per motivi
sociali, economici, di sfruttamento, e in alcuni casi anche di manipolazione
genetica” di schiacciare le economie locali e le realtà sociali ad esse
collegate. Emerge dalle parole di entrambi la necessità di pensare ad
un’agricoltura meno industriale, al ritorno di un agricoltore-contadino
capace di prendersi veramente cura del territorio in cui vive e produce, poiché
sa che da esso dipende: “Perché tutte le chiacchiere sulla questione della
sostenibilità potrebbero essere ridotte a un concetto fondamentale:
l’agricoltore non ha alcun interesse a esaurire le risorse che gli danno
sostentamento. (…) Gli agricoltori hanno scolpito nel DNA la conservazione
delle risorse”.
Il
capitolo intitolato Biodiversità: una vera ecologia della vita è, a mio
parere, quello più scioccante. Qui Mancuso ci rivela cosa significhi, in
pratica, la riduzione della biodiversità: “vuol dire, semplicemente, che ci
stiamo esponendo a rischi inutili”, rischi che “anche nella storia recente
dell’umanità, hanno provocato enormi disastri”. La nostra alimentazione,
infatti, si basa su di un numero molto ridotto di piante; rispetto alle decine
di migliaia di specie edibili, noi ci affidiamo solo ad una trentina di esse
per soddisfare il nostro bisogno calorico! Tra queste, “il 60% delle
calorie che il mondo consuma proviene da sole tre piante. Tre specie soltanto”,
grano, riso e mais. Questo ci rende molto vulnerabili: “affidare la
nostra alimentazione ad un numero ristretto di genotipi ci lascia alla mercé
delle patologie vegetali”; se una qualunque malattia attaccasse le tre
specie su cui abbiamo costruito tutto il nostro regime alimentare, le conseguenze
sarebbero disastrose, come lo furono in Irlanda fra il 1845 e il 1849,
quando la peronospora distrusse la quasi totalità dei raccolti di patate,
l’unica specie su cui la popolazione basava la propria alimentazione.
Ma
non è finita qui: la biodiversità vegetale ci garantisce anche
un’inesauribile fonte di medicinali. I farmaci di oggi, infatti, sono
ricavati quasi totalmente dalle piante. Dunque, di fronte alla deforestazione
che avanza dovremmo chiederci: “cosa c’era in questa specie che ci sarebbe potuto
servire?”. Non lo sapremo mai. Mancuso continua l’elogio delle piante
ricordando il loro servizio di purificazione dell’aria, tramite la fissazione
di Co2, la loro utilità nel contrastare i dissesti idrogeologici,
ecc.
Insomma,
da questo vivace dialogo emerge il tentativo di fornire un abbozzo
per il racconto di una nuova umanità, più consapevole delle proprie radici
naturali e, dunque, più responsabile nei confronti delle relazioni che
regolano quell’equilibrio naturale di cui anch’essa fa parte. Recidere o
intaccare queste relazioni si rivela imprudente, in quanto può condurre ad un
disequilibrio le cui conseguenze ci sono pressoché sconosciute: “e poiché una
grande biodiversità poggia su complesse relazioni fra piante e animali, basta
che un singolo anello della catena scompaia perché la loro assenza,
direttamente o indirettamente, determini l’estinzione di numerose altre specie”.
Mi piacerebbe concludere con una osservazione, forse un pò scomoda: per rispettare la biodiversità (animale e
vegetale che sia) sembra che essa debba risultare utile ai nostri occhi, classificabile
sotto una qualche etichetta della nostra rubrica dei bisogni. Ma mi chiedo: saremmo in grado di difendere la
biodiversità per il semplice fatto che essa è la casa di altre centinaia di
migliaia di specie, le quali hanno il diritto di abitare la Terra tanto quanto
noi? Una risposta a questa domanda non
è certo semplice, sopratutto per le conseguenze pratiche a cui porterebbe, ma credo che in essa si concentri la svolta verso un’umanità davvero nuova, i
cui contorni sono ancora tutti da pensare.
0 commenti:
Posta un commento