USCIRE DALL'ECONOMIA. UN DIALOGO TRA SERGE LATOUCHE E ANSELM JAPPE

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Come si può ‘uscire dall’economia’? In questo testo, trascrizione di un’interessantissima conferenza tenutasi il 25 maggio 2011 al “Café des décroisseurs berrichons” di Bourges, i due autori perlustrano il territorio dell’economico per tentare alcune risposte.

Uscire dall’economia significa, innanzitutto, criticare il dominio dell’economico sulla vita sociale. L’economia infatti, come la conosciamo noi, non è sempre esistita ma nasce storicamente con la Rivoluzione industriale, nel XVIII secolo. Questa, oltre a cambiare le macchine e i sistemi di produzione, portò una radicale rivoluzione dell’immaginario, imponendo una nuova antropologia, quella dell'homo oeconomicus, atomo sociale che organizza la sua vita secondo una razionalità astratta e mercantile, concependo il lavoro come forma-base della vita collettiva e il profitto come finalità esistenziale.

La critica di Latouche e Jappe è a questo immaginario economico che sostiene la realtà economica: occorre decolonizzarlo per aprirlo a nuove rappresentazioni.
Non sempre i due autori si trovano concordi nel delineare chiaramente le proposte alternative alle forme capitalistiche del lavoro, denaro e razionalità. La chiarezza dell’alternativa è comunque secondaria rispetto al movimento di pensiero che ci mostra un possibile ‘fuori’ dalla “gabbia d’acciaio” capitalistica.
Qui sotto proponiamo uno stralcio del dibattito fra gli autori Serge Latouche e Anselm Jappe:

“E dove andiamo noi, una volta che siamo usciti dalla società dei consumi? Ebbene, Vers une société d’abondance frugale. Ma dietro tutto questo, c’è in effetti uno sfondo che non è immediatamente visibile per un lettore superficiale, c’è ovvero una decostruzione dell’economia, una critica dell’economia nel senso antico del termine, critica che ho spiegato nel mio libro L’invenzione dell’economia. E per decolonizzare il nostro immaginario, occorre effettivamente sapere come entrarci, tornare a questo “sfondo”, quello della decostruzione dell’economia.
Oggi come oggi il nostro immaginario è quello economico; è qualcosa di cui non abbiamo piena coscienza, perché lo abbiamo completamente naturalizzato. Per far comprendere l’immaginario economico che ci colonizza, riprendo spesso una formula di Mark Twain, la quale dice che quando si ha un martello nella testa, si tende a vedere tutti i problemi sotto la forma di chiodi. Oggi possiamo dire di avere un martello economico nella testa, Vediamo tutti i problemi sotto la forma economica: piove, è un problema economico, poiché le inondazioni provocano dei danni economici, non piove, allora è la siccità, ed anche questo è un problema economico, occorre dunque un’imposta sulla siccità, nevica e tutte le strade sono bloccate, è ancora un problema economico, non nevica ed è un dramma per le stazioni sciistiche che falliscono etc. Noi apprendiamo la realtà attraverso il prisma dell’economia, e questo è qualcosa di estremamente recente. Nessuna società, tranne la nostra, è mai stata una società dell’economia.

Quello che è interessante da capire è come siamo entrati in questo gigantesco prismae, se ci si è entrati, allora abbiamo anche qualche chance di uscirne.”
(Serge Latouche, pp. 45 – 46)
 
“Sono d’accordo con Latouche sul fatto che l’economia non sia un fatto naturale e astorico, che non sia qualcosa che esiste da sempre. L’economia è apparsa nel mondo in una certa epoca storica, e portrà allo stesso modo scomparire. Naturalmente, come sempre, bisogna intendersi sulle parole. Se per ‘economia’ intendiamo semplicemente il fatto che l’uomo debba fare qualcosa per assicurarsi la sopravvivenza, allora l’economia, è chiaro, non sparirà mai. Ma la parola ‘economia’, utilizzata in questo modo, non ha alcun senso specifico, non significa nulla. (…) L’economia è dunque qualcosa di ben più preciso, è un modo di organizzare la riproduzione materiale degli esseri umani attorno alle categorie di denaro, lavoro, investimento, aumento del capitale investito: tutti aspetti che non fanno parte della natura umana. La maggior parte delle società esistite finora ha vissuto senza l’economia, senza basare la vita sociale sullo scambio, sul lavoro. (…) Alcuni autori hanno cominciato, in modo più salutare, a considerare l’economia come qualcosa di recente, stabilitosi essenzialmente intorno al XVII secolo. Questa ipotesi è stata avanzata da antropologi e storici come Marcel Mauss, Karl Polanyi, Louis Dumont, Marshall Sahlins e altri. (…)

È evidente che ogni riflessione umana precedente l’apparizione dell’economia politica fosse stata una riflessione di carattere etico, morale, basata generalmente sull’idea che l’essere umano fosse malvagio per natura e sulla convinzione che ci si dovesse sforzare in ogni modo di migliorarlo. In questo quadro mentale di riferimento, esisteva ancora l’idea che ci fosse qualcosa di migliore da raggiungere. (…) Secondo l’economia politica, era arrivato il momento di abbandonare gli sforzi finalizzati a migliorare l’essere umano, accettare l’uomo per quel che era, sostenere che la sua naturale malvagità poteva avere conseguenze estremamente positive, e arricchire gli uomini”. (Anselm Jappe, pp. 59  – 63)

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