ECOSOFIA E NUOVO UMANESIMO. DIALOGO CON LUCIANO VALLE

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Proponiamo un dialogo avuto con Luciano Valle, teologo, ecosofo, docente all’Università di Pavia e Presidente del Centro di Etica Ambientale di Bergamo.

MARTA FRANA: Professore, cominciamo da una domanda di carattere generale: che cosa s’intende per ecosofia?

LUCIANO VALLE: Come dice la parola stessa, ecosofia è una forma nuova di saggezza dell’oikos, ovvero dell’abitare. Ecosofia è sinonimo di ecologia profonda, uno sguardo diverso sul senso della storia e sui valori della tradizione umanistica. In questo senso, nel mio libro Dall’ecologia all’ecosofia. Percorsi epistemici ed etici tra Oriente e Cristianesimo, tra scienza e saggezza, ho fatto un grande sforzo per andare a recuperare tutti quei percorsi, dall’antica Grecia all’Oriente, fino all’Occidente, cristiano e non, che testimoniano un oltrepassamento dello sguardo di un umanesimo antropocentrico.

M.F.: Che idea ha l’ecosofia della scienza moderna?

L.V.: Citerei Whitehead quando sostiene che il limite della scienza moderna è presentarsi come «ragione con un occhio solo, incapace di percepire la profondità». L’ecosofia sposa il paradigma relazionistico, vedendo la realtà come una rete dinamica di entità in relazione. Per fare un nome, penso a Joseph Needam e al gruppo di biologi e storici della scienza di Cambridge quando, alla fine degli anni ’20, si fecero promotori di una concezione organicista del sapere: è un importante esempio di critica al meccanicismo mossa non da pensatori spiritualisti, bensì da scienziati. Quindi, la riflessione ecosofica si presenta come una rivoluzione complessiva dei saperi (epistemologia, etica ed antropologia).

M.F.: Ciò che dice mi fa pensare a Panikkar, quando sostiene che la frantumazione della conoscenza ha portato alla frantumazione dell’uomo…

L.V.: Esatto. Panikkar inoltre è un esempio di pensatore-ponte: padroneggia benissimo il linguaggio della scienza, in quanto chimico, ma anche il linguaggio teologico, in quanto induista e cattolico.

M.F.: Quali altri pensatori sente vicino alla prospettiva ecosofica?

L.V.: Sono molti, ma se mi chiede quali autori userei nell’incipit di un saggio sull’ecosofia, le direi Rilke e Nietzsche. In particolare, di Rilke la poesia XIV di Sonetti ad Orfeo, per me un cantico neofrancescano:

"Vedi i fiori, questi che alla terra son fedeli,
a cui prestiamo un destino dal bordo del destino, –
ma chissà! Se rimpiangon di dover sfiorire,
sta a noi d’essere il rimpianto loro.
Tutto vuol librarsi. E noi grevi ci aggiriamo
a gravare noi su tutto, dal peso inebriati;
oh quali maestri siamo a logorar le cose,
che d’infinita infanzia han la fortuna.
Se uno nel cuore del sonno le traesse e dormisse
profondo con le cose –: quanto leggero, e mutato,
da profondità comune s’alzerebbe a nuovo giorno.
O rimarrebbe forse; e a lode fiorirebbero le cose
a lui, al convertito, simile a loro diventato,
a tutte le sorelle nel vento dei prati silenziose."

Mentre di Nietzsche citerei il passo di Umano, troppo umano: "Si deve essere ancora vicini ai fiori, alle erbe e alle farfalle come i bambini, che non sono molto più alti di loro. Noi adulti invece siamo cresciuti molto più alti di loro e ci dobbiamo chinare fino ad essi; (…) Chi vuol prendere parte a ogni cosa buona, in certe ore deve anche saper essere piccolo."

Inoltre ho letto con passione la critica all’antropocentrismo– logocentrismo di Derrida, contenuta in L’animale che dunque sono. Anche il mio amato Heidegger, pur rimanendo logocentrico, ha scritto pagine immense sulla dignità ontologica del mondo e dei suoi enti (vedi il testo Gelassenheit).

M.F.: Passando alla teologia, vorrei riflettere sul rapporto fra cristianesimo e antropocentrismo: è possibile parlare di un cristianesimo non antropocentrico?

L.V.: Nel cristianesimo, così come in qualsiasi cultura – anche nel giainismo, che è la più radicale delle etiche del rispetto della natura – c’è sempre un primato dell’uomo. Ma si tratta di un primato spirituale, non di potere giuridico. D’altronde, è solo l’uomo che possiede la facoltà di giudizio. Bisogna però ricordarsi che nel messaggio biblico il primato dell’uomo è legato alla relazione e al rispetto delle altre forme di vita. Fino a Noè l’umanità è vegetariana, non uccide per mangiare. Dio concede all’umanità di uccidere solo dopo il diluvio universale, ovvero dopo che il patto fra uomo e Dio si è definitivamente interrotto. Anche Adamo ed Eva erano vegetariani, anche dopo l’uscita dal Paradiso Terrestre.

M.F.: Dunque come interpreta il passo di Genesi 1:26–29 «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra (…)”»?

L.V.: L’uomo è sì fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma bisogna ricordare che il Dio biblico è il Dio dell’amore, non tanto quello del logos. L’uomo ha dunque un primato nel senso che solo egli è capace di amore. Nella concezione darwiniana, che io considero fondamentale, si recupera l’unità del mondo della vita e si restringe l’uomo attorno alle altre forme di vita. Per la concezione biblica e cristiana solo l’uomo è colui che può dare la vita per salvare un leprotto. Tornando alla Genesi, la tradizione cristiana dominante negli ultimi secoli ha dimenticato che se l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e Dio è amore, anche l’essenza dell’uomo deve essere l’amore. Si è spesso letto anche il passo 1:18 come «soggiogate e dominate», mentre gli ebrei hanno sempre interpretato questo passaggio come un “prendete possesso in senso amministrativo”: la Terra è messa a disposizione, meglio: è in prestito.

M.F.: Può sintetizzarci i punti critici e le novità dell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco?

L.V.: Vi sono due aspetti che trovo ricchi di criticità: primo, la poca diffusione dell’Enciclica; secondo, quando se ne parla lo si fa in senso etico-antropocentrico, ovvero ci si concentra sulla critica al capitalismo finanziario, alla crisi economica del 2008 e alla conseguente crisi sociale, e via dicendo. Ma il vero nucleo è un altro: è quello che tocca la teologia, l’ontologia e l’antropologia. L’etica è una conseguenza dell’ontologia e nelle pagine dell’enciclica è scritto a chiare lettere che il mondo è comunione. Il concetto di relazione è centrale. Esso viene recuperato in senso scientifico e, sopratutto, teologico: se il mondo viene dalla Trinità, esso conserva le orme della Trinità (come già diceva Bonaventura) e dunque non può che conservare l’aspetto relazionale. Il mondo nasce da uno scambio trinitario fra il Padre – sorgente dell’essere – il Logos – Cristo – e lo Spirito Santo. Emerge dunque un’immagine di unità del creato. Ad un certo punto nell’enciclica si sostiene: se tutto è permeato dal Padre, come possiamo fare del male alle altre creature? Concetto, quello del rispetto per gli animali, già sviluppato da Giovanni Paolo II quando nel 1990, riflettendo sulla teologia della creazione, sostenne la presenza di un “soffio divino” negli animali. Questo perché, nella visione dell’Antico Testamento, tutto l’essere è sostenuto e vivificato dalla presenza dello spirito, insieme immanente e trascendente alla creazione. È interessante notare che moltissimi ebrei del Novecento (ad esempio Kafka, Singer, Luxemburg, Buber) manifestino un amore profondo nei confronti degli animali: ciò viene proprio dalla cultura ebraica del mondo come presenza divina.

M.F.: Come mai il focus posto sull’Enciclica riguarda in gran parte l’aspetto etico-morale antropocentrato?

L.V.: Perché è quello che la cultura italiana nelle versioni cattolica, moralista, vuole. Tolte alcune eccezioni, la sinistra oggi è antropocentrica e guarda unicamente all’aspetto sociale – importante, ma parziale. Sul tema sociale nell’enciclica di Papa Francesco non si dice niente di nuovo. La Pacem in Terris, la Mater et Magistra, la Populorum Progressio ed altre encicliche precedenti con dei lati ambientali, avevano già detto tutto. Quindi la novità della Laudato si’ è, come ho detto, una rinnovata attenzione ad un’ontologia relazionale, basilare per un nuovo discorso etico.

M.F.: Professore, lei è vegetariano da molto tempo. Oggi sempre più persone stanno facendo questa scelta alimentare. Lei crede che sia solo una moda passeggera, come sostengono alcuni?

L.V.: No, assolutamente. Io frequento molto i giovani delle scuole e vedo che sono pronti ad accogliere la sfida ecologica. I giovani hanno una sensibilità e una finezza d’animo incredibili. I traviati siamo noi adulti. Pensi che a Zurigo la maggioranza dei giovani ha deciso di non prendere più la patente non solo perché l’automobile inquini, ma perché vuole tornare al silenzio! L’elemento di fondo di questa scelta è quello spirituale, recuperare il momento della contemplazione: se vado a piedi o in bici posso ancora vedere l’alba, il tramonto, il merlo sull’albero. I giovani stanno iniziando proprio quella rivoluzione antropologica di cui parla l’Enciclica: mettiamo la contemplazione al centro. Da teologo cattolico domando: fra i giovani di Zurigo e il mondo cattolico italiano dove sta lo Spirito Santo?

M.F.: Collegandoci all’attività contemplativa come strumento per coltivare una coscienza ecosofica, le vorrei chiedere quale ruolo ha la bellezza in una visione del mondo ecosofica.

L.V.: La bellezza è molto importante. Proporrei una gerarchia: la bellezza spirituale, quella naturale, poi quella dell’arte. L’importante è non mitizzare quest’ultima: la bellezza culturale prepara alla verità, ma non credo porti ad essa. D’altra parte anche i nazisti amavano l’arte, leggevano Goethe e facevano giardinaggio, amavano gli animali, eppure c’è qualcosa che non ha funzionato, visto ciò che è successo. La bellezza deve dunque essere sopratutto spirituale e morale, ecco perché dobbiamo rifare l’uomo. Se penso alla bellezza ontologica della natura penso, ad esempio, a quei momenti di estasi che può dare il contatto con il vento. Spesso nella nostra vita ci dimentichiamo della bellezza del cielo e delle nuvole, che può avere una potenza rivelativa.
Io sono tornato a guardare il cielo durante la mia crisi politica del post ’68, quando mi accorsi che il marxismo – non Marx, che continuo a considerare un punto di riferimento – mi stava schiacciando verso terra. E questo è un limite enorme del marxismo. L’antropologia materialista va giocata contro l’agostinianesimo, non contro San Francesco o il buddhismo Zen.

M.F.: Per finire: se volessimo provare a vivere ecosoficamente la nostra quotidianità, lei cosa suggerirebbe di fare?

L.V.: Come i giovani di Zurigo! Io stesso sono senza patente. Quando ero giovane, l’automobile rappresentava un elemento di emancipazione, ma nel senso peggiore: i ragazzi si incontravano a parlare di auto e ragazze, come se queste ultime non fossero persone. Io preferivo vivere in bicicletta, passare le serate a guardare le stelle sdraiandoci sulle strade sterrate. Quando cominciò a diffondersi l’idea di abbandonare la bicicletta, emanciparsi con l’automobile e “andare a ragazze”, io mi sono rifiutato. La mia critica alla modernità è iniziata proprio da lì. 


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