JOSEPH ROTH E IL MATTATOIO

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Scene dal mattatoio di St. Marx

«Copre una superficie di ben 59 000 metri quadrati il mattatoio di St. Marx, il cruento Walstatt, il campo dell’onore – cinto da prati rivieraschi e chiuso al mondo esterno – su cui cadono buoi e vitelli, sacrificati allo stomaco dell’uomo. Alle cinque del mattino qui va in scena , per così dire, una morte animata, mentre la strada che conduce al mattatoio ferve di vita. Il mercato del bestiame rintrona di muggiti, dalla gola possente di una creatura votata alla morte erompe di quando in quando un grido improvviso, breve e sordo. Dal tram scendono solerti macellai con camice tanto innocente quanto ingannevole, e il coltello che penzola al fianco.
(…)

Verso la macellazione

Dalle stalle il cammino della morte conduce la bestia al metaforico «banco della macellazione». In realtà non c’è nessun «banco»: nel grande capannone ci sono soltanto dei pali a cui vengono legati gli animali. Dalle finestre che si aprono lassù, a un’altezza irraggiungibile, l’ultima luce di un mondo crudele penetra con parsimonia e mestizia. C’è odore di sangue rappreso, qui da ottant’anni scorre sangue per il benessere dell’umanità. Giorno dopo giorno, a partire dalle sei del mattino. Su un pavimento di pietre indifferenti, lisce, un pò gibbose al centro. E ogni giorno corre acqua fredda, purificatrice su queste pietre che dopo il  lavacro tornano linde, estranee, come nuove. In alto, un soffitto a volta dietro le cui pietre Dio, invisibile e sordo, si nasconde.

I macelli in funzione

In questi capannoni possono essere giornalmente abbattuti 1400 capi, a blocchi di 350 per volta. I grossisti fanno macellare qui il loro bestiame, servendosi di «macellatori a cottimo», membri e garzoni del relativo consorzio, gente esperta che maneggia il coltello con destrezza. I piccoli macellai lavorano con personale proprio. I giorni più caldi sono quelli dei grandi mercati: il lunedì e il venerdì. Nei 140 box il sangue scorre in continuazione. Nei 140 box gli animali inermi si piegano sulle ginocchia, storditi dalla mazzata in piena fronte. Da altrettante gole colpite di netto scaturisce lo zampillo rosso della vita.
L’aria del mattatoio rende docili e proni quei vigorosi, magnifici animali. Un sommesso monito del pietoso angelo della morte, un lieve tocco, e la vittima rinuncia al vano tentativo e non oppone resistenza. Dimena leggermente la coda nervosa, a mo’ di estremo saluto al mondo che scompare. Lo sguardo mansueto sfiora appena gli uomini, va oltre i corpi e le pareti verso lontananze vagamente intuite. Ancora una volta i morbidi peli si rizzano, un piccolo brivido corre lungo la colonna vertebrale. Ma gli occhi rimangono aperti e trasognati, la palpebra non conosce sussulti: l’animale sembra non vederlo affatto, il braccio levato a sferrare il colpo di grazia. Sta solitario in mezzo ai suoi compagni di morte e ai carnefici – non più di questo mondo, già pronto per l’eternità. Il colpo vigoroso su un punto ben preciso del cervello uccide clemente ogni sensazione prima che cali lo squartatoio e l’animale, tornato semicosciente dopo l’immediato dolore, apra di nuovo gli occhi, per l’ultima volta. È uno dei pochi momenti in cui la potenza della morte umanizza ogni animale.
Poi eccoli, appesi un accanto all’altro quei corpi nei quali la mano del macellatore rovista per estrarre visceri e sozzura terrena: corpi belli puliti, con le teste pacifiche, il cervello morto, i nervi spenti. Venivano da lontano, dalla Romania, dall’Ungheria, dalla Jugoslavia, solo pochi erano nati nel paese dove sono morti. Avevano alle spalle molti giorni di viaggio, giorni trascorsi in vagoni angusti e bui, nei quali, spaventati da quello strano rumor di ferraglie, strusciavano i loro corpi caldi l’uno con l’altro; lunghi percorsi fatti secondo l’imperscrutabile disegno di una forza superiore, per poi lasciare la vita al traguardo – come un tempo le compagnie di soldati in marcia.
Arrivavano infinite nelle pulitissime

233 celle frigorifere

dove, grazie a un motore elettrico da 158 cavalli, viene prodotto il ghiaccio. Qui non si immagazzinano le parti facilmente deperibili. In queste celle, che si estendono su di una superficie di 1 540 metri quadrati, si presta grande attenzione a non suscitare disgusto. Il sangue finisce all’Istituto Fattinger che lo lavora ricavandone sostanze chimiche di ogni genere. Il concime, caricato su vagoni merci, viene venduto a prezzi vantaggiosi. L’uomo sa sfruttare a meraviglia gli animali. Quanti debbano essergliene sacrificati sulla terra, lo si può immaginare se si considera che nel mattatoio di St. Marx solo fra gennaio e fine giugno sono stati macellati 64 423 manzi e 11 518 vitelli. Senza contare pecore, agnelli, capre e capretti e cavalli.
Nel laboratorio, dove mi conduce il dottor Moser, il gentile direttore del mattatoio, conigli e lepri vivono in condizioni idilliache. Anche a queste cavie non è dato godere di una vita tranquilla. Il dottor Hennenberg preleva loro il sangue per ricavarne il siero grazie al quale si può testare la composizione delle salsicce. 
I manzi li si uccide, i conigli li si lascia vivere, e l’uomo – signore macellante della Creazione –  rimane senso e scopo di ogni vita animale.»

(Testo tratto da Un pò di compassione, a cura di M. Rispoli, Adelphi, Milano 2007, pp. 46 – 51)

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