«Copre una superficie di ben 59 000
metri quadrati il mattatoio di St. Marx, il cruento Walstatt, il campo
dell’onore – cinto da prati rivieraschi e chiuso al mondo esterno – su cui
cadono buoi e vitelli, sacrificati allo stomaco dell’uomo. Alle cinque del
mattino qui va in scena , per così dire, una morte animata, mentre la strada
che conduce al mattatoio ferve di vita. Il mercato del bestiame rintrona di
muggiti, dalla gola possente di una creatura votata alla morte erompe di quando
in quando un grido improvviso, breve e sordo. Dal tram scendono solerti
macellai con camice tanto innocente quanto ingannevole, e il coltello che
penzola al fianco.
(…)
Verso la macellazione
Dalle stalle il cammino della
morte conduce la bestia al metaforico «banco della macellazione». In realtà non
c’è nessun «banco»: nel grande capannone ci sono soltanto dei pali a cui
vengono legati gli animali. Dalle finestre che si aprono lassù, a un’altezza
irraggiungibile, l’ultima luce di un mondo crudele penetra con parsimonia e
mestizia. C’è odore di sangue rappreso, qui da ottant’anni scorre sangue per il
benessere dell’umanità. Giorno dopo giorno, a partire dalle sei del mattino. Su
un pavimento di pietre indifferenti, lisce, un pò gibbose al centro. E ogni
giorno corre acqua fredda, purificatrice su queste pietre che dopo il lavacro tornano linde, estranee, come nuove.
In alto, un soffitto a volta dietro le cui pietre Dio, invisibile e sordo, si nasconde.
I macelli in funzione
In questi capannoni possono essere
giornalmente abbattuti 1400 capi, a blocchi di 350 per volta. I grossisti fanno
macellare qui il loro bestiame, servendosi di «macellatori a cottimo», membri e
garzoni del relativo consorzio, gente esperta che maneggia il coltello con
destrezza. I piccoli macellai lavorano con personale proprio. I giorni più
caldi sono quelli dei grandi mercati: il lunedì e il venerdì. Nei 140 box il
sangue scorre in continuazione. Nei 140 box gli animali inermi si piegano sulle
ginocchia, storditi dalla mazzata in piena fronte. Da altrettante gole colpite
di netto scaturisce lo zampillo rosso della vita.
L’aria del mattatoio rende docili
e proni quei vigorosi, magnifici animali. Un sommesso monito del pietoso angelo
della morte, un lieve tocco, e la vittima rinuncia al vano tentativo e non
oppone resistenza. Dimena leggermente la coda nervosa, a mo’ di estremo saluto
al mondo che scompare. Lo sguardo mansueto sfiora appena gli uomini, va oltre i
corpi e le pareti verso lontananze vagamente intuite. Ancora una volta i
morbidi peli si rizzano, un piccolo brivido corre lungo la colonna vertebrale.
Ma gli occhi rimangono aperti e trasognati, la palpebra non conosce sussulti:
l’animale sembra non vederlo affatto, il braccio levato a sferrare il colpo di
grazia. Sta solitario in mezzo ai suoi compagni di morte e ai carnefici – non
più di questo mondo, già pronto per l’eternità. Il colpo vigoroso su un punto
ben preciso del cervello uccide clemente ogni sensazione prima che cali lo
squartatoio e l’animale, tornato semicosciente dopo l’immediato dolore, apra di
nuovo gli occhi, per l’ultima volta. È uno dei pochi momenti in cui la
potenza della morte umanizza ogni animale.
Poi eccoli, appesi un accanto
all’altro quei corpi nei quali la mano del macellatore rovista per estrarre
visceri e sozzura terrena: corpi belli puliti, con le teste pacifiche, il
cervello morto, i nervi spenti. Venivano da lontano, dalla Romania,
dall’Ungheria, dalla Jugoslavia, solo pochi erano nati nel paese dove sono
morti. Avevano alle spalle molti giorni di viaggio, giorni trascorsi in vagoni
angusti e bui, nei quali, spaventati da quello strano rumor di ferraglie,
strusciavano i loro corpi caldi l’uno con l’altro; lunghi percorsi fatti secondo
l’imperscrutabile disegno di una forza superiore, per poi lasciare la vita al
traguardo – come un tempo le compagnie di soldati in marcia.
Arrivavano
infinite nelle pulitissime
233 celle
frigorifere
dove, grazie a un motore elettrico
da 158 cavalli, viene prodotto il ghiaccio. Qui non si immagazzinano le parti
facilmente deperibili. In queste celle, che si estendono su di una superficie
di 1 540 metri quadrati, si presta grande attenzione a non suscitare disgusto.
Il sangue finisce all’Istituto Fattinger che lo lavora ricavandone sostanze
chimiche di ogni genere. Il concime, caricato su vagoni merci, viene venduto a
prezzi vantaggiosi. L’uomo sa sfruttare a meraviglia gli animali. Quanti
debbano essergliene sacrificati sulla terra, lo si può immaginare se si
considera che nel mattatoio di St. Marx solo fra gennaio e fine giugno sono
stati macellati 64 423 manzi e 11 518 vitelli. Senza contare pecore, agnelli,
capre e capretti e cavalli.
Nel laboratorio, dove mi conduce
il dottor Moser, il gentile direttore del mattatoio, conigli e lepri vivono in
condizioni idilliache. Anche a queste cavie non è dato godere di una vita
tranquilla. Il dottor Hennenberg preleva loro il sangue per ricavarne il siero
grazie al quale si può testare la composizione delle salsicce.
I manzi li si
uccide, i conigli li si lascia vivere, e l’uomo – signore macellante della
Creazione – rimane senso e scopo di ogni
vita animale.»
(Testo
tratto da Un pò di compassione, a
cura di M. Rispoli, Adelphi, Milano 2007, pp. 46 – 51)
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