Riportiamo parte di un'intervista fatta a Carolyn Merchant, filosofa della scienza, ecofemminista, autrice del celebre saggio La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica (Garzanti). Il testo introduttivo e la traduzione è a cura di Marco Armiero.
«Il mondo che abbiamo perduto era organico»: con queste parole venticinque anni fa Carolyn Merchant iniziava la sua critica radicale alla rivoluzione scientifica e alla mecanicizzazione della natura. Pochi libri accademici possono vantare un incipit così potente e suggestivo. D’altronde potente, suggestiva, e di vastissimo impatto era la tesi presentata nel libro: la rivoluzione scientifica baconiana aveva trasformato la natura viva in un mero meccanismo, da studiare, forzare, sezionare.
Non c’era più spazio dentro il nuovo paradigma scientifico per un modo diverso di concepire la natura e il suo rapporto con gli essere umani: i filoni di pensiero e le pratiche conoscitive che proponevano e praticavano un modo diverso di interpretare la natura diventavano eterodossi, ascientifici, spesso messi a tacere non tanto con la forza dell’argomentazione scientifica, ma quella delle armi o con le spesse catene delle galere.
Nel volume della Merchant occupano uno spazio cospicuo tanto le utopie quanto i saperi eterodossi, incarnati in particolare dalle streghe, la cui persecuzione rappresenta in maniera evidente la connessione tra dominio sulla natura e dominio sulla donna. La morte della natura, infatti, non implicò necessariamente la fine di una visione della natura al femminile; per la nuova scienza la natura continuava ad essere «femmina», ma non era più la Madre che nutre, ma un soggetto passivo da violentare, sezionare per carpirne i segreti.
Carolyn Merchant
unisce in questo libro l’analisi
dell’evoluzione del pensiero scientifico e filosofico con le grandi
trasformazioni economiche e sociali che stavano avvenendo nell’Europa –
soprattutto nell’Inghilterra – del XVII secolo: l’autrice ci porta per mano
attraverso i trattati scientifici di Bacone, il metodo sperimentale, le società
utopiche di Campanella e di altri filosofi, ma anche le enclousures,
l’industria mineraria e l’enorme pressione sulle foreste, mostrando proprio la connessione tra
la costruzione di un nuovo paradigma
scientifico in grado di interpretare la natura e i modi in cui la società
stava organizzando l’appropriazione
e lo sfruttamento di quella stessa natura.
Insomma se la rivoluzione
scientifica uccise la natura, privandola della sua anima e gettando le basi
per la sua manipolazione più estrema, fu l’avvento del
capitalismo, che assumendo quel paradigma scientifico come proprio, lo rese
particolarmente potente.
Carolyn Merchant
mostra quanto la
rivoluzione scientifica costituì una sorta di premessa culturale del
capitalismo, divenendo la base metodologica e filosofica sulla quale questo
costruì un nuovo sistema di relazioni «naturali». Il cambiamento nel modo di
vedere la natura e di studiarla implicava, dunque, una radicale
trasformazione delle relazioni non solo tra esseri umani e natura, ma anche
interno alla società tra diversi gruppi sociali e tra donne e uomini. Non
era un caso che la critica radicale alla nuova scienza provenisse spesso dalle
donne, e che lo sforzo repressivo e normalizzatore del meccanicismo si
dispiegasse con forza contro le donne, andando a marcare gerarchie e confini
netti tra generi, destinati ad avere una straordinaria longevità.
1) Questa
serie di interviste è intitolata «La storia ambientale
ed io».
Dunque, mi piacerebbe se potessi raccontarci come hai scoperto la storia
dell’ambiente. Ci sono state letture, incontri, o persone speciali che ti hanno
portato fin qui?
La mia vita personale si è intersecata con la storia attraverso una
serie di casi fortuiti e di improvvise intuizioni. Ho assimilato l’etica
ambientalista precocemente con l’emergere del movimento ecologico. Negli anni
sessanta lavoravo con Nature Conservancy a salvare le praterie originarie,
leggevo le pagine di Rachel Carson sui pesticidi e pensavo all’impatto
della popolazione mondiale sulle scorte alimentari. Trascorsi la maggior parte
degli anni sessanta alla Università del Wisconsin, studiando nel corso di
storia della scienza le origini della rivoluzione scientifica moderna e
scrivendo una tesi su Gottfried Wilhelm Leibniz e la sua idea di «forza
vivente». Sono
sempre stata innamorata della scienza e ho sempre nutrito un rispetto deferente
per la bellezza delle sue derivazioni matematiche, delle sue spiegazioni facili
e delle sue chiare descrizioni. Il mio interesse per la biologia mi portò
ad appassionarmi alla chimica al college, poi alla fisica e infine alla storia
della scienza.
2) Ci
sono stati libri o idee che ti hanno influenzato particolarmente?
Guardando indietro ai miei primi lavori, probabilmente le letture più
importanti nella mia formazione furono Primavera silenziosa
di Rachel Carson (1962), e il libro di Betty Friedan, The
Feminine Mystique (1963). Due libri tra i quali si stabilì una connessione
negli anni settanta, quando le donne iniziarono a porsi domande sulla relazione
e l’identificazione tra donne e natura.
3) Potresti
introdurre brevemente la tesi del tuo libro, La morte della natura. Donne,
ecologia e rivoluzione scientifica?
Il mio libro era una critica al ruolo
giocato dalla scienza classica, meccanicistica durante il XVII secolo e del
modo in cui essa aveva portato al dominio sulla
natura ed infine alla crisi ambientale
della fine del XX secolo. Il libro mostrava come la visione organica
del mondo, che era stata prevalente fino al Rinascimento e nella quale
tutto era ritenuto vivo, fu trasformata nella visione meccanicista
della rivoluzione scientifica del XVII secolo: in essa la materia
era morta e inerte, mossa, vitalizzata solo attraverso forze esterne. La relazione etica
tra esseri umani e natura cambiava da una improntata sulla reciprocità ad
una improntata
sul dominio e sul controllo.
Lo sviluppo della
scienza a partire dal XVII secolo ha avuto un esito positivo
nel senso che per molti aspetti ha migliorato la vita di tanta gente. Ma esso
ha avuto anche un
costo, che è stato pagato dalle donne, dalla natura e dalle classi
lavoratrici, ossia molta gente si è impoverita a beneficio delle classi medie
ed alte. Si è diffuso un senso di ottimismo sulla possibilità di controllare la
natura attraverso la scienza e la tecnologia, ma le conseguenze sono state
l’impoverimento delle risorse naturali e l’inquinamento dell’ambiente, come è
evidente nella nostra attuale crisi ecologica.
5) Potresti
aggiungere qualcosa in più su questa identificazione tra donne e natura?
Le donne, per gran parte
della storia della cultura occidentale così come in altre culture, sono state identificate molto
da vicino con l’idea di natura. Per esempio, Nature o Natura è una
parola femminile in molte lingue latine e romanze. La Natura è rappresentata
come Madre Natura o come Terra Vergine. A partire dall’ultima fase del
Rinascimento, alla fine del XVI secolo, appena prima del periodo di trasformazione
rappresentato dalla rivoluzione scientifica, la natura era ancora
concettualizzata come femmina. La terra era una
madre. Essa aveva sistemi psicologici, sistemi circolatori come le maree, e
un sistema riproduttivo che dava vita a animali, piante e
minerali, e perfino un sistema espulsivo. Molte di queste idee risalgono ai
Greci e ai Romani, idee riprese nel Rinascimento. Il cosmo è vivo.
E la terra è viva. Essa è un organismo vivente.
Ha un corpo, un’anima e uno spirito. I metalli e le pietre sono vive; la terra
è animata. E la natura è un agente di dio, dio agisce attraverso la Natura, al
femminile, portando punizioni e premi nella vita quotidiana.
6) A me sembra che nel
tuo lavoro tu hai sempre cercato di mettere insieme
socialismo, ecologia e genere. Potresti spiegare come vedi queste cose sono
interconnesse?
Dunque, ci
sono molte forme di socialismo. Il socialismo di stato non ha funzionato
granché, ma ci sono nuove forme in cui la gente organizza la propria visione
dell’azione sociale ed esse non sono state ancora esplorate con attenzione.
Questo tipo di socialismo è fondamentalmente un metodo per produrre modi nuovi
di guardare a vecchie questioni, di pensare e di essere creativi nel cercare
nuove strade. Questo è, ad esempio, l’ecofemminismo,
ma con una particolare attenzione al genere.
7) Come
sono le relazioni tra uomini e donne e come possono produrre una società e un
ambiente migliore?
La mia idea è che si possono combinare
socialismo ed eco-femminismo in modo da concentrarsi sulla riproduzione del
mondo vivente piuttosto che sulla riproduzione di beni inanimati, morti.
Oggi ogni cosa è organizzata intorno alla produzione, e questo significa che la gente ha
sostanzialmente perso la percezione del mondo come qualcosa di vivente. Ma
se tu riorienti le priorità così che ciò che è buono per la comunità umana sia
buono anche per quella non umana, allora hai una ecologia
sostenibile basata sulla riproduzione e non sulla produzione. La povertà
sarà alleviata. La gente avrà figli non per assicurare lavoro alle proprie
famiglie strette dalla povertà o per sentirsi più sicuri da vecchi, ma perché
li desiderano e vogliono prendersi cura di loro. Quando assicuriamo sicurezza
alla gente, ovvero sicurezza per la loro salute, sicurezza per il loro lavoro,
sicurezza per la loro vecchiaia e per l’assistenza ai bambini, allora noi abbiamo la
possibilità di un nuovo tipo di società che possa lavorare in una partenership
sostenibile con il resto del mondo.
8) Come
collocheresti La morte della natura nella tua vita personale?
Da giovane ho vissuto una straordinaria coincidenza tra le mie
esperienze personali e la scoperta delle implicazioni sociali del dominio
scientifico sulla natura. In quel clima iniziai a studiare le implicazioni
della scienza sulle donne e la natura. Durante gli anni settanta, fui ispirata
dalla diffusa contestazione della scienza, della società e del sistema
dominante di valori e così cominciai a riconsiderare il significato dei miei
lavori di storia della scienza. La storia del meccanicismo come un sistema di
materia in movimento sul quale avevo lavorato per la mia tesi di laurea,
assumeva nuove implicazioni quando si leggeva in contrapposizione con la cosmologia
rinascimentale degli spiriti viventi e degli esseri spiritualizzati, per la
quale tutto era vivo. Iniziai a pormi nuove domande: quale è stato il ruolo
della rivoluzione scientifica nel modo in cui noi alle fine del XX secolo
conduciamo le nostre vite? E quali erano state le alternative storiche, sia
reali che utopiche, ad alcuni degli eccessi del modo di vita dominante?
9) Il
libro celebra ora il suo venticinquesimo anniversario. Come tireresti le somme
dopo un quarto di secolo?
A me sembra che siano tre i contributi di questo libro. In primo luogo, fu una critica precoce
dei problemi della modernità e soprattutto della scienza meccanicistica e della
visione del mondo ad essa associata, critiche che furono sviluppate poi dal
lavoro del decostruzionismo post moderno sull’ottimismo dell’illuminismo e del
progresso. Secondo,
quando l’ecofeminismo guadagnò attenzione negli anni 80 e 90 del novecento, La morte della natura
venne visto come una prima classica sistematizzazione
delle relazione tra donne e natura. Terzo, esso indicava la strada
verso una reimpostazione delle relazioni etiche con la natura muovendosi
lontano dalle idee di dominio per andare verso una nuova cooperazione dinamica
tra essere umani e natura. Attraverso gli anni, a conferenze e seminari,
diverse persone mi hanno detto che La morte della natura
ha avuto una influenza sulle loro vite, persino ha
cambiato il loro modo di pensare. Di questo io sono molto grata.
Ultimamente ho raccolto delle adesioni per salvare un lago in quel di Cassano adda . Ho notato che le donne hanno capito meglio degli uomini lo sforzo che sto portando avanti e ciò mi fa piacere segnalarlo! luciano
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