LA PRIGIONIA. SUL ROMANZO ISHMAEL DI DANIEL QUINN

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di Giulio Sapori 

La prima volta che lessi l'annuncio mi mancò il fiato, impre­cai, sputai e buttai per terra il giornale. Dato che non mi sem­brava abbastanza, lo raccolsi, andai in cucina e lo buttai nella spazzatura. Già che c'ero, mi preparai uno spuntino e sedetti un attimo per calmarmi. Mentre mangiavo, pensai a tutt'altro. Dopo, recuperai il giornale dal sacchetto dell'immondizia e cercai di nuovo la pagina degli annunci personali per control­lare se quelle maledette parole c'erano ancora, identiche a co­me me le ricordavo. C'erano.

MAESTRO cerca allievo. Si richiede un sincero desiderio di salvare il mondo. Presentarsi di persona.

Così inizia Ishmael, romanzo-saggio, di Daniel Quinn, uscito in America nel 1992 e tradotto da Il Saggiatore, nel 1999.
Un romanzo di cui consiglio la lettura per l'arditezza dell'intenzione dell'autore: cogliere la mitologia suicida sui cui si fonda la nostra cultura.

I miti su cui si regge la cultura non sono idee tra le altre, ma le cornici nella quali si vanno a collocare idee e pensieri, più o meno coscienti. I miti vengono agiti più che pensati: sono coercitivi. La stessa idea di libertà è pensata nel campo che essi dischiudono: sei libero se non metti in discussione le linee guida del copione che dà forma alla società. 
Per iniziare a pensare e agire liberamente, occorre prima definire i contorni della visione mitica in cui siamo collocati, della prigione in cui ci muoviamo.

Come spiega Ishmael, il maestro, all'uomo che si presenta nella stanza, in risposta all'annuncio:
 
Il mio soggetto è la prigionia.
— La prigionia.
— Esatto.
Restai in silenzio per qualche secondo, poi ribattei: — Sto cercando di capire che cosa c'entra con la salvezza del mondo.
Ishmael rifletté per un attimo. — Tra la gente della tua cultura, chi è che desidera distruggere il mondo?
— Chi desidera distruggerlo? Per quel che ne so, nessuno.
— Eppure lo state distruggendo tutti, dal primo all'ultimo. Tutti voi contribuite ogni giorno alla distruzione del mondo.
— È vero.
— E allora perché non vi fermate?
Scrollai le spalle. — Francamente, non sapremmo come fare.
Siete prigionieri di una civiltà che in pratica vi obbliga a continuare a distruggere il mondo per sopravvivere.
— Sembra di sì.
— Dunque siete prigionieri... e avete fatto del mondo intero un prigioniero. Dunque è questo a essere in gioco, non è vero? La vostra prigionia e la prigionia del mondo.” (p.28)

Un particolare che può dare un po’ di sconcerto al lettore è che Ishmael, il maestro, è un gorilla. Un animale la cui somiglianza con l’uomo può dar fastidio ad alcuni ma, ai più, affasciana proprio per quel far da specchio distorcente all'immagine che abbiamo di noi, in cui tratti umani e natura selvaggia si incontrano: questa immagine 'ibrida' è proprio ciò da cui il racconto della civiltà prende nettamente le distanze, allontanandola e ingabbiandola, concettualmente e fisicamente.

Ishmael venne liberato proprio da una gabbia di un circo grazie ad un ricco mercante ebreo.
In un momento di profonda tristezza, perso nel tentativo di comprendere il senso e la logica della barbarie della civiltà nazista che aveva messo a morte molti dei suoi familiari, il ricco Sokolow fu colpito dagli occhi di questo grosso animale, chiuso in una gabbia espositiva, con su scritto ‘Golia’.
Intuisce che quello sguardo dietro le sbarre risponda, in qualche modo, ai pensieri che non gli davano pace, forse nella riduzione di quello sguardo ad oggetto, si intravedeva qualcosa che rispondeva alla ricerca del perché un male così grande si fosse abbattuto su un popolo. Perché l’uomo produce tutte queste gabbie, campi di concentramento, prigioni? è invevitabile questa forte volontà di controllo?

Il mercante Sokolow, prima ancora di liberarlo dalla gabbia circense, lo libera dal nome ‘Golia’, mostro che minaccia la civiltà, chiamandolo Ishmael, nome che richiama quello del figlio di Abramo avuto dalla schiava Agar, e che venne cacciato, con la madre, nel deserto che non venne però abbandonato da Dio.


Quando parliamo di prigioni non parliamo di prigionieri da un lato e liberi da una altro ma di una concezione prigioniera del mondo subita tanto dagli imprigionatori, quanto dai prigionieri. I primi sono prigionieri della storia che recitano, i secondi subiscono la violenza inscritta in quella storia. Ishmael parla, in proposito, della Germania nazista.

 “— Cos'è che li rendeva prigionieri?
— Quello che aveva era una storia.
— Una storia?
— Una storia nella quale la razza ariana, e in particolare il popolo tedesco, era stata privata del posto che le spettava nel mondo, messa in catene, coperta di sputi, violentata e schiacciata nel fango dai meticci, dai comunisti e dagli ebrei.
Anche chi non veniva catturato dalla storia in sé, veniva intrappolato dalle persone che lo circondavano. Co­me i capi di bestiame che si trovano trascinati dalla fuga di una mandria.
” (p. 36)

Perché gli uomini e le donne della tua cultura si trovano in pratica nella stessa situazione: sono prigionieri di una sto­ria, proprio come i tedeschi della Germania nazista.
Non c'è bisogno di sentirne parlare. Non c'è bisogno di citarla o discuterla. Ciascuno di voi la conosce d'istinto dall'età di sei o sette anni. Non c'è biso­gno di farci caso: ronza sempre in sottofondo, quindi non oc­corre nessuno sforzo di volontà. Anzi, all'inizio scoprirai che è difficile farci caso. È come il brontolio di un motore lontano che non si ferma mai: ben presto diventa un suono che non si riesce più a sentire.
” (p.37)

Come fa a imporsi come normalità?

Ieri mi hai detto che avevi l'impressione di essere prigioniero. Questa impressione deriva dall'enorme pressione esercita­ta su di voi perché prendiate parte alla storia che la vostra cul­tura recita nel mondo... un posto qualunque. Questa pressione viene esercitata in modi diversissimi e a ogni livello, ma per lo più così: coloro che rifiutano di prendervi parte non vengono nutriti.” (p.37)

L’uomo è l’animale che racconta storie e che crede a ciò che racconta. All’interno dell’enorme varietà di storie presente nel globo è possibile distinguere due storie fondamentali: quella raccontata e recitata dai Lascia e quella raccontata e recitata dai Prendi.

Chi sono costoro? i primi sono i popoli ‘primitivi’ che vivono la stessa vita, con pochi cambiamenti, da circa tre milioni di anni; i secondi, invece, sono i ‘civilizzati’, originati da quei gruppi di raccoglitori-cacciatori che, circa dieci mila anni fa, cambiano modo di vivere, stanzializzandosi e iniziando a produrre cibo e altro. I Prendi non sono l’evoluzione dei Lascia, come Madre Cultura ci ha sempre ripetuto, ma sono gruppi di umani che recitano storie diverse, basate su premesse diverse.

Qual è la premessa dei Prendi (sedicenti civilizzati)?

Si tratta di un concetto molto semplice, il più potente nell'intera storia dell'umanità. Non necessariamente il più vantaggioso, ma di certo il più potente. Tutta la vostra storia, con le sue meraviglie e le sue catastrofi, emerge da questa pre­messa.
— Sul serio, non capisco dove vuoi arrivare.
— Rifletti... Il mondo non è certo stato creato per la medusa, giusto?
— Giusto.
— Non è stato certo creato per le rane, né per le lucertole né per i conigli.
— No.
— Certo che no. Il mondo è stato creato per l'uomo.
— Fin qui ci sono.
— Lo sanno tutti nella vostra cultura. Perfino gli atei che non credono a nessun dio sanno che il mondo è stato creato per l'uomo.
Ecco dunque qual è la premessa della vostra storia: il mondo è stato creato per l'uomo.
— Non ci arrivo. Cioè, non vedo in che senso questa si possa considerare una premessa.
— È stata la vostra cultura a trasformarla in una premessa, a prenderla come premessa. Ha detto: e se il mondo fosse stato creato per noi?
— Va bene. Continua.
— Rifletti sulle conseguenze di una premessa come questa: se il mondo fosse stato creato per voi, allora... cosa?
— D'accordo, credo di avere capito. Se il mondo fosse stato creato per noi, allora vorrebbe dire che ci appartiene e dunque potremmo farne quel che vogliamo.
— Esatto. Ed è appunto ciò che è successo negli ultimi dieci­mila anni: avete fatto del mondo quel che volevate. E natural­mente eravate convinti di essere nel giusto, perché vi apparte­neva! (pp. 58-9)

La premessa “il mondo è stato creato per l’uomo" porta alla conseguenza che l’uomo sia stato fatto per governarlo. Questo è il fondo mitologico della cultura, e quindi anche della scienza, dei Prendi.

La maggior parte degli ambientalisti ed ecologi, i quali dovrebbero osservare il mondo in maniera più libera dal diffuso antropocentrismo proprietario, non considerano mai la premessa mitologica, ideologica, dei loro discorsi. L'uomo è, per loro, l'amministratore della materia vivente e non. Si considerano dalla parte della scienza, come se quest'ultima fosse solo un mezzo di conoscenza, neutro oltretutto. Non vedono che alla base della ragione vi è un mito. Questo non significa svalutare la ragione ma svegliarla, considerando la possibilità che si dia un'altra ragione, qualora il mito che la sorregga stia conducendo il mondo alla rovina.

Altra conseguenza che viene da quella premessa è che se “il mondo è stato creato per l’uomo" (e quindi l’uomo è fatto per governarlo), è che, qualora avesse problemi di governo, l’uomo-sovrano ha il dovere di sottometterlo e conquistarlo. La storia che recitano i ‘civilizzati’ è piena di conquiste (l’agricoltura, il mare, il deserto, lo spazio, i segreti della salute, l’atomo, ecc.). La storia dei Prendi è, in sintesi, una storia che colloca l'umanità nel ruolo di nemica del mondo.

Il guaio è che la conquista umana del mondo ha anche devastato il mondo. E la nostra supremazia non basta a ferma­re le devastazioni... né a riparare quelle già compiute. Abbia­mo riversato nel mondo i nostri veleni come se fosse un pozzo senza fondo... e continuiamo a riversarli. Abbiamo divorato ri­sorse non sostituibili come se non dovessero mai esaurirsi... e continuiamo a divorarle. È difficile immaginare che il mondo possa resistere ancora per un secolo a simili abusi, ma nessuno fa niente. I problemi dovranno risolverli i nostri figli, o i figli dei nostri figli.” (p. 75)

All’interno della mitologia Prendi soltanto una cosa può salvarci: “dobbiamo accrescere la no­stra supremazia. I danni sono derivati tutti dalla nostra con­quista del mondo, ma comunque noi dobbiamo continuare fi­no a che il dominio non sarà assoluto. In seguito, quando avre­mo un controllo completo, tutto andrà a posto.

"Questa è la situazione attuale: dobbiamo continuare la con­quista. E continuarla porterà alla distruzione del mondo op­pure alla sua trasformazione in un paradiso... nel paradiso che doveva essere sotto il dominio umano.

"E se riusciremo in questa impresa, se alla fine diventeremo gli assoluti dominatori del mondo, allora niente potrà fermar­ci. Sarà l'era di Star Trek. L'uomo si inoltrerà nello spazio per conquistare e governare anche il resto dell'universo. Ecco qua­le potrebbe essere il destino finale dell'uomo: conquistare e governare l'universo intero. Una creatura davvero meraviglio­sa, l'uomo" (p. 76)

Ma perché, nonostante tutti i nostri sforzi e il forte impegno, il paradiso non si riesce a fare? Cos’è che rema contro il paradiso? A questa domanda Madre Cultura, per bocca di un imbianchino o di un Immanuel Kant, risponde in un solo modo: l’uomo è nato difettoso, è nato storto. E per questo ha rovinato sempre tutto.

Ma, a guardarci bene:

Non c'è nulla di fondamentalmente sbagliato negli esseri umani. Se sono chiamati a recitare una storia in accordo col mondo, vivono in accordo col mondo. Ma se devono esibirsi in una storia diversa, nella quale agiscono in contrasto col mon­do, come nel vostro caso, vivono in contrasto col mondo. Se il copione prevede invece una storia che li vede nel ruolo di pa­droni del mondo, si comportano come padroni del mondo. E se in scena si svolge un'altra storia nella quale il mondo è un ne­mico da sottomettere, lo sottomettono proprio come un remi­co; e prima o poi, inevitabilmente, quel nemico giacerà a terra ai loro piedi, ferito a morte, come si trova adesso il mondo.” (p. 79)

È la piece che è problematica, non gli attori. Il copione che dà molta importanza a come utilizzareil mondo. Ma non ci dice nulla su come vivere nel mondo. Ma non è possibile cercare di capire come dovremmo vivere in questo mondo? Si tratta più di ecologia che di etica.
"— Ho una notizia che per te sarà sconvolgente: l'uomo non è solo su questo pianeta. Appartiene a una comunità, dalla quale dipende in tutto e per tutto. Non l'avevi mai sospettato?
Fu la prima volta che lo vidi sollevare un solo sopracciglio.
— Non essere sarcastico — gli dissi.
— Qual è il nome di questa comunità, della quale l'uomo è solo uno dei tanti membri?
La comunità della vita.
— Bravo. Ti sembra sia pur lontanamente plausibile che la legge che stiamo cercando sia scritta in questa comunità?
— Non saprei.
— Che cosa dice Madre Cultura?
Chiusi gli occhi e ascoltai per un po'. — Madre Cultura dice che se una simile legge esistesse, non si applicherebbe a noi.
— Perché?
— Perché noi siamo molto al di sopra di ogni altro elemento di quella comunità.
— Capisco. E riesci a citarmi qualche altra legge dalla quale siate esenti in qualità di esseri umani?
— Che vuoi dire?
— Voglio dire che le mucche e gli scarafaggi sono soggetti alla legge di gravità. Voi ne siete esenti?
— No.
— Siete esenti dalle leggi dell'aerodinamica?
— No.
— Della genetica?
— No.
— Della termodinamica?
— No.
— Riesci a pensare a qualche legge dalla quale gli esseri umani siano dispensati?
— Su due piedi, no.
— Se ci riesci fammelo sapere, sarebbe davvero una novità.
— D'accordo.
— Però, se per caso esistesse una legge sul comportamento della comunità della vita nel suo complesso, gli esseri umani ne sarebbero esentati.
— Be', questo è ciò che dice Madre Cultura.
— E tu che cosa dici?
— Non lo so. Non vedo come potrebbe essere rilevante per l'umanità una legge che regoli il comportamento delle farfalle o delle tartarughe... dando per scontato che le farfalle e le tar­tarughe seguano la legge di cui parliamo.
— Certo che la seguono. E per quanto riguarda la rilevanza, le leggi dell'aerodinamica non sono certo state sempre rilevan­ti per voi, vero?
— No.
— Quando hanno cominciato a essere rilevanti?
— Be'... quando abbiamo cercato di volare.
— Nel momento in cui avete cercato di volare, le leggi che governano il volo hanno cominciato a essere rilevanti.
— Esatto.
— E quando sarete sull'orlo dell'estinzione e vorrete vivere ancora un po', forse diventeranno rilevanti anche le leggi che governano la vita.
— Già, è probabile.” (p.92-3)

Ciò che rende scandalosa questa legge è che:

non fa distinzioni fra la civiltà umana e gli alveari: si applica a tutte le specie indiscri­minatamente. È per questo che è rimasta ignota alla vostra cultura: secondo la mitologia dei Prendi, l'uomo è per defini­zione un'eccezione biologica. L'uomo, tra milioni di specie, è il prodotto finale dell'evoluzione. Il mondo non è stato creato per generare le rane o i grilli, gli squali o le cavallette, ma per generare l'uomo. Quindi l'uomo si erge solitario, unico e asso­lutamente alieno a tutto il resto.” (p. 95)

"Sul nostro pianeta la comunità della vita funziona bene da tre miliardi di anni... anzi, funziona egregiamente. I Prendi si tira­no indietro inorriditi di fronte a questa comunità, giudicando­la una società caotica, feroce e sregolata, competitiva e impla­cabile, nella quale ogni creatura vive nel terrore di morire. Ma quelli della tua specie che vi appartengono non la pensano co­sì, e sarebbero disposti a sacrificare la vita pur di non esserne separati.

In realtà si tratta di una comunità ordinata. Le piante verdi sono il cibo dei mangiatori di piante, i quali sono il cibo dei predatori, e alcuni predatori sono il cibo di altri predatori. Ciò che rimane è il cibo degli animali che si nutrono di carcasse, che restituiscono alla terra il nutrimento necessario alle pian­te verdi. È un sistema che ha funzionato alla perfezione per miliardi di anni. La gente del cinema ama le scene di sangue e battaglia, ed è logico, ma qualunque naturalista potrebbe dirti che le varie specie non sono affatto in guerra tra loro. La gaz­zella e il leone sono nemici soltanto nella mente dei Prendi. Il leone che incrocia un branco di gazzelle non scatena un mas­sacro, come farebbe un nemico. Ne uccide solo una, e non per un odio atavico ma per soddisfare la sua fame; dopo che ha ucciso, le gazzelle possono continuare a pascolare tranquillamente con il leone in mezzo a loro.
Questo accade perché esiste una legge che nella comunità viene seguita invariabilmente: se non ci fosse, allora sì la co­munità cadrebbe nel caos e in breve tempo si disgregherebbe e scomparirebbe. Perfino gli uomini devono la propria esistenza a questa legge. Se le altre specie non la osservassero, non avrebbero potuto né nascere né sopravvivere. La legge non protegge soltanto la comunità nel suo complesso ma anche le singole specie e perfino gli individui. Capisci?"
— Capisco quello che dici, ma non ho idea di quale legge si tratti.
— Ti sto mettendo in evidenza i suoi effetti.
— Ah. D'accordo.
È la legge della pace, la legge che impedisce alla comuni­tà di trasformarsi in un caos ruggente, come la considerano i Prendi. È la legge che favorisce la vita in ogni aspetto... vita per l'erba, per le cavallette che mangiano l'erba, per le quaglie che mangiano le cavallette, per le volpi che mangiano le qua­glie, per i corvi che mangiano le volpi morte.”

“Se questa legge non fosse stata osservata fin dall'inizio dei tempi, da tutte le generazioni che si sono susseguite, i mari sarebbero deserti senza vita e la terraferma sa­rebbe ancora polvere che soffia nel vento. Tutte le innumere­voli forme di vita che conosci sono arrivate all'esistenza seguendo questa legge, e seguendo questa legge è nato l'uomo. E soltanto una volta nella storia del pianeta una specie ha cerca­to di vivere sfidando questa legge... anzi, non un'intera specie ma un popolo: quello che ho chiamato i Prendi. Diecimila anni fa quest'unico popolo ha detto: «Basta. L'uomo non è nato per essere soggetto a questa legge» e ha cominciato a vivere in un modo che si beffa della legge in ogni suo aspetto. Nella civiltà dei Prendi ogni proibizione della legge è diventata una linea di condotta fondamentale. E adesso, dopo cinquecento generazio­ni, quella civiltà sta per scontare la punizione che ogni altra specie avrebbe scontato per avere vissuto contro la legge
. (pp. 110-11)

Il racconto prosegue analizzando meglio il conflitto tra la legge che governa la comunità della vita e l’ideologia che governa la cultura dei Prendi, un’ideologia tanto potente quanto catastrofica.

È ora di considerare questo folle conflitto, e questo libro è uno dei modi per farlo.

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