CANETTI E L’ARCIPELAGO DEL VIVENTE. RECENSIONE AL LIBRO DI SCUDERI

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di Marta Frana

Per chi, come la sottoscritta, conosceva Canetti solamente dalla fama dei suoi testi, ignorandone però la storia personale ed il percorso letterario, il libro di Scuderi L'arcipelago del vivente. Umanesimo e diversità in Elias Canetti (pp. 153, Donzelli Editore, 2016) può essere una guida illuminante.

Elias Canetti debutta nella società letteraria europea quando essa era tutta orientata alla riflessione sul significato e sulla forma di umanesimo, sulla determinazione di quale tradizione nazionale fosse egemonica e destinata alla supremazia. In tale quadro il nostro autore, «scrittore ed intellettuale bulgaro di nascita, ebreo sefardita d’origine, tedesco per destino, e poi inglese d’adozione, europeo per vocazione, cosmopolita, apolide migrante nell’anima», non può che trovarsi soffocato, perché convinto che un umanesimo davvero interessato al che cosa dell’uomo non possa non aprirsi all’alterità, intesa non solo in senso antropologico (dunque un’attenzione alle culture e alle lingue non occidentali), ma anche in senso biologico, dunque un’apertura al teriomorfo, al mondo non-umano.
Saggiare le idee di Canetti sulla difesa delle letterature non europe, nonchè sapere della sua passione per gli studi antropologici è stato molto stimolante, tuttavia qui non mi soffermerò su di esse, lasciando al lettore quella curiosità che, spero, lo farà rivolgere direttamente al libro in questione.
Al contrario, mi piacerebbe mettere in evidenza un aspetto forse meno considerato.

L’umanista contemporaneo (il filologo, il letterato, ma anche il filosofo) è ormai consapevole della fecondità che scaturisce dalla contaminazione fra le lingue e dal loro studio comparato, nonché dell’importanza e della ricchezza di ogni lingua, considerate specchio di diversi accessi al mondo. Tuttavia l’umanista è forse meno cosciente del fondamentale rapporto metamorfico che intercorre fra la lingua umana e la lingua animale. Per Canetti, al contrario, «vi è un nesso fra riduzione della diversità culturale e corrispondente crollo della diversità biologica», per lui la crisi linguistica globale è data anche e sopratutto dalla distruzione delle lingue animali, le quali «ci hanno insegnato a conoscere il pianeta e a sopravvivere nella nostra vicenda evolutiva, prima di essere progressivamente cancellate – con i loro parlanti – da un colonialismo biologico» ad opera dell’homo sapiens. (p.46)
Se per Canetti «ogni lingua forma una serie di mondi possibili e di geografie della memoria», è ovvio che «quando muore una lingua, muore con essa un mondo possibile». (p.43)
Le lingue, dunque, sono il risultato mai definitivo non solo di vicendevoli influenze, ma anche di rigenerazioni al contatto con l’alterità teriomorfa.

Ma perché è così importante che gli animali continuino ad esserci e a rappresentare, per l’uomo, l’alterità forse più radicale? Scuderi ci spiega che, nella visione canettiana, l’animale può essere considerato un «antidoto»: esso è un argine al delirio di onnipotenza della specie umana, al suo istinto distruttivo. Gli animali, nostri maestri di conoscenza, compagni evolutivi dai quali abbiamo imparato ad ambientarci in questo mondo, (bellissime le pagine dedicate all’analisi degli animali come maestri di metamorfosi), sono l’unico contrappeso all’autoreferenzialità umana. Il mondo senza animali sarà un deserto culturale e Canetti ne è sempre più consapevole: «Il progresso del mondo è legato al fatto che si tengano in vita il maggior numero possibile di animali. E quelli di cui non abbiamo bisogno per motivi pratici sono i più importanti. Ogni specie animale che muore rende meno probabile che noi si continui a vivere. Solo al cospetto delle loro fisionomie e delle loro voci noi possiamo rimanere uomini. Le nostre metamorfosi si logorano quando si spegne la loro fonte» (La tortura delle mosche, Adelphi, 1993, p. 93)

Gli animali, animatori di archetipi junghiani, fonte di modelli estetici – pensiamo a tutte le similitudini che accostano una forma o una qualità ad un animale (es. leggiadra come una farfalla!) – testimoni di una corporeità consapevole di sé, non solo hanno una propria lingua da custodire, dalla quale possiamo imparare, ma sono anche un esempio “morale” poiché le loro azioni avvengono sempre nel rispetto del limite naturale e del rispetto del vivente «sia pur nella crudezza delle  urgenze vitali evolutive». (p.68 – 69)

Per Canetti, dunque, ogni animale rappresenta un nuovo sguardo sul mondo che può salvarci dalla dittatura dell’unicum dello sguardo antropocentrico, per portarci ad una dimensione «senza vinti né vincitori, ma tutti ugualmente diversi, tutti esseri, tutti animali». (ivi)

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