UN'ETICA DI SPECIE. SU UMANI E ANIMALI DI SIMONE POLLO

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di Giulio Sapori

Gli animali sono nostri compagni, fratelli in dolore, malattia, morte e sofferenza e fame; nostri schiavi nel lavoro più faticoso, nostri compagni negli svaghi; dalla nostra origine essi probabilmente condividono un comune antenato; potremmo essere tutti legati in un’unica rete”. Charles Darwin
 
Come già anticipato nel post scorso, mi concentrerò sull'utilizzo della nozione specie, attraverso l'analisi di due libri usciti da poco. In questo post prenderò in considerazione il libro Uomini e animali: questioni di etica di Simone Pollo (Carocci editore).

Pollo è ricercatore presso l'Università La Sapienza di Roma, dove si occupa di tematiche bioetiche riguardanti, tra l’altro, il modo in cui l’uomo tratta gli altri animali.
In questo suo ultimo libro tratta il rapporto umani-animali cercando di elaborare, attraverso un metodo naturalistico, “fatti esperiti dal senso comune e prodotti della conoscenza scientifica”. Una prospettiva che, nel metodo generale, si rifà a Darwin e al darwinismo e, nella riflessione bioetica, a Eugenio Lecaldano (a cui è dedicato il libro) e all'etica sentimentalista.

Metodo naturalistico significa: partire dall'esperienza. Stessa cosa farebbe l'etica sentimentalista, ovvero quell'approccio alla vita morale che pone al centro i sentimenti e la simpatia, cioè quelle capacità che permettono di entrare emotivamente in contatto con le vite altrui.

 
In questo caso, scrive Pollo, si tratterà di un “sentimentalismo etico consapevole della necessità di abbandonare la visione antropocentrica”, un “anti-antropocentrismo sentimentalista” critico delle “ambizioni dell'egualitarismo antispecista e razionalista” (p. 11) poiché troppo svincolate dall'esperienza morale, dalla sua psicologia.

In questa prospettiva naturalistica, l'etica è vincolata alla psicologia, la psicologia all'emotività e l'emotività all'evoluzione. È una prospettiva, secondo l'autore, che parte “dal basso”, dall'esperienza quotidiana, per poi essere problematizzata attraverso la riflessione filosofica.
   
Questo approccio si contrapporrebbe alla prospettiva “dall'alto”, propria dell'etica animale standard, promossa da Peter Singer, Tom Regan e Gary Francione. Tutti e tre vengono accusati di “monismo razionalista”.
  
Per l’autore lo specismo non è un pregiudizio da oltrepassare, ma qualcosa incardinato nella storia e nell'evoluzione umana.
 
La sua riflessione si appoggia alle cose dette dalla filosofa Mary Midgley, soprattutto nel testo Perché gli animali. Una visione più umana dei nostri rapporti con le altre specie (Feltrinelli, 1985). In questo testo la Midgley critica l'assimilazione tra specismo e razzismo, sostenendo che il primo è, più o meno, un tratto diffuso in tutte le specie, avendo un valore di sopravvivenza. L’autrice tende a distinguere il legame di specie - la preferenza verso i conspecifici - dallo specismo, ma in questo modo dà allo specismo una certa base biologica.
  
Assumendo questa prospettiva, Pollo sostiene che un' “uguaglianza interspecifica appare sostanzialmente irraggiungibile per gli esseri umani” (p. 80): la nostra psicologia la rigetterebbe.
 
Sono possibili solo superamenti e ammorbidimenti parziali di questi vincoli morali, soprattutto grazie alla simpatia, al sentimento e all'immaginazione.
Lo scopo dichiarato del libro non è la liberazione animale ma quello di stimolare una riflessione personale e, casomai, il perfezionamento di sé e il cambiamento del proprio carattere.
Questo esame non si concluderà con un'argomentazione a favore della liberazione degli animali. Senza dubbio molti animali, moltissimi, oggi sono in condizione di sofferenza e deprivazione dalle quali dovrebbero essere sollevati e, tuttavia, lo scopo che qui si ritiene di dover perseguire è quello della riflessione sul modo in cui gli esseri umani orientano la propria condotta” (p. 84).

Da questo punto di vista, le pratiche che saranno apertamente condannate sono solo quelle in cui la sofferenza animale è finalizzata, essenzialmente, al divertimento, come nella caccia e nel circo. Per le altre pratiche (come il mangiare carne, la sperimentazione sugli animali), invece, si considerano i punti di vista legati più al cosiddetto 'benessere animale'.

Alcune considerazioni critiche:
 
1.   Il senso comune. Le riflessioni portate avanti nel libro partono dal senso comune. Il problema è che vi rimangono. Quanto sia plasmato, costruito, prodotto questo ‘senso comune’ non viene analizzato. Si accetta così com'è. Si accettano le sue parole, le sue categorizzazioni. E, di conseguenza, i comportamenti conseguenti.

2.  L'antispecismo. L'antispecismo non può essere ridotto a Singer, Regan e Francione. Questo antispecismo, infatti, è stato ampiamente criticato all'interno dei movimenti animalisti e antispecisti poiché pensava di ridefinire il rapporto con gli altri animali senza problematizzare lo statuto dell'Umano. Il 'nuovo' antispecismo, pur partendo dalla vulnerabilità condivisa, non si ferma ad essa, mettendo in risalto le differenze, il differire, senza che questo comporti una scala naturae, una gerarchizzazione assoluta di ciò che è degno o meno di rispetto.

3.  La specie. Cosa significhino parole come “specie” e “vincoli di specie”, che fungono da base scientifica del ragionamento, non viene detto. Viene solo detto che esistono. Quella di specie, abbiamo visto nel post scorso, è una categoria problematica e, ancora più problematica, è quella di “legame di specie”. Non sarebbe più corretto, soprattutto quando si parla di umani, parlare di un legame del noi, di noismo? La 'specie' animale che uccide più uomini è proprio quella umana. E, normalmente, senza alcun motivo biologico, legato alla sopravvivenza. Questo è spiegabile se, al posto del “legame di specie”, si indaga un “legame di gruppo”. Si scoprirebbe che le declinazioni  del noi sono diverse sia da cultura a cultura, come ha mostrato l’antropologo Philippe Descola, sia da individuo a individuo (esempio banale: l’animale che condivide la sua vita con la nostra fa parte di noi più di tanti individui conspecifici). Da qui dovrebbe partire una riflessione più approfondita, senza considerare per dati dei “legami di specie”, utili sì a giustificare delle pratiche di sfruttamento ma che poco servono a capire i rapporti che intratteniamo con gli altri animali.

4.  Benessere animale. Quella di 'benessere animale' è nozione molto diffusa in ambito sociale. Una nozione che, a livello astratto, metterebbe d'accordo tutti: chi non vuole il 'benessere' degli altri animali? Il problema è che questa nozione viene utilizzata come 'foglia di fico', strumento retorico per mettere sotto silenzio il problema fondamentale legato all'utilizzo degli altri animali: il continuare a farli nascere per rinchiuderli e ammazzarli.

5.  Punto di vista umano. La 'base sicura' da cui partire per allargare la considerazione morale in senso non antropocentrico diventa l’unico punto di vista, eliminando totalmente gli indefiniti punti di vista presenti nel mondo. La vaga riflessività morale, portata avanti nel libro, diventa un modo per continuare a comportarci, in sostanza, come padroni del vivente. Migliori, ma pur sempre padroni.
  
È proprio in questa supposta normalità, in questa riconferma del ‘senso comune’, che si inserisce il libro di Massimo Filippi, stridente, fin dal titolo: L'invenzione della specie. Sovvertire la norma, divenire mostri.

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